Perché per salvare il calcio italiano servono gli stadi di proprietà?

Alessandro Cipolla

23 Febbraio 2018 - 11:55

Per rimanere competitivi i nostri club devono aumentare i propri fatturati: possono quindi gli stadi di proprietà far rinascere il calcio italiano?

Perché per salvare il calcio italiano servono gli stadi di proprietà?

Di fronte a delle difficoltà create dalla manifesta incapacità di una governance, spesso questa cerca di additare ogni responsabilità a fattori esterni alla propria competenza. Una cattiva abitudine tutta italiana alla quale non fa eccezione anche il mondo del calcio.

Di fronte all’innegabile stato di crisi del pallone nostrano, basti vedere le ultime vicende relative alla non partecipazione della Nazionale ai Mondiali in Russia e a tutta la questione relativa al closing del Milan, tutti adesso sembrerebbero avere pronta la ricetta per guarire da ogni malanno: gli stadi di proprietà.

Possono quindi i nuovi impianti risollevare il calcio italiano? Probabile, ma per farlo servono atti concreti e non i soliti inutili e stucchevoli fiumi di parole.

La crisi del calcio italiano

Se fino a qualche anno fa il nostro campionato era considerato da tutti come il più bello al mondo, il declino competitivo e attrattivo che si è verificato negli ultimi anni è un dato di fatto sotto gli occhi di tutti.

Mentre si susseguivano vicende come il decreto salva-calcio (conosciuto anche come spalmadebiti), il doping della Juventus, Calciopoli e tutte le Scommessopoli varie, i vertici del pallone e quelli governativi avevano individuato nel tifo violento la causa di tutti i mali.

Per carità la violenza negli stadi è un fattore da condannare e debellare, ma mentre questa problematica è stata affrontata con leggi ferree e aumento delle pene, per tutto il resto invece si sono susseguiti soltanto una serie di colpi di spugna.

Adesso che non ci sono più gli ultras a cui dare la colpa, il grande problema del calcio italiano è la mancanza di stadi di proprietà. Un mantra questo che è stato ripetuto fino allo sfinimento negli ultimi anni. Vediamo allora come gli impianti potrebbero incidere sulle finanze dei nostri club.

Nuovi introiti

Uno dei limiti delle società della nostra Serie A è quello di essere troppo dipendenti dai soldi incassati annualmente dai diritti televisivi. Facendo una media, questa voce rappresenta circa il 50% degli incassi dei club.

Una percentuale troppo alta soprattutto se la si rapporta con i campionati esteri, dove gli incassi derivanti dai broadcaster sono spesso sotto la soglia del 40%. Il nostro campionato quindi per aumentare i fatturati ed essere competitivo deve aumentare gli introiti commerciali.

Oltre alla valorizzazione del brand, avere uno stadio di proprietà può far aumentare in maniera anche sensibile i ricavi di un club. Al momento, sono quattro le squadre in Italia ad averne uno: Juventus, Udinese, Sassuolo e Frosinone.

A breve poi dovrebbero partire i lavori anche per lo stadio della Roma, il famoso e tanto discusso nuovo impianto a Tor di Valle, per quello del Cagliari e per l’ammodernamento dell’Atleti Azzurri di Bergamo.

Uno studio di Duff & Phelps ha indicato quanto incassano annualmente le squadre della Premier League grazie alla cessione dei diritti di denominazione dei loro impianti.

Come si può vedere, soltanto da questa voce lo United percepisce più di 26 milioni di sterline ogni anno. Fanalino di coda in questa speciale classifica è invece la matricola neopromossa Huddersfield con 300.000 sterline.

Da noi la Allianz per legare il suo nome a quello dello stadio della Juventus spende 4,5 milioni di euro l’anno, di cui solo 1,5 finiscono direttamente nelle casse del club bianconero mentre i restanti 3 vanno alla Sportfive-Lagardère, società di sport marketing francese che detiene i naming rights acquistati nel 2008 sulla base di 75 milioni di euro per dodici anni.

Per quanto riguarda invece la Dacia Arena, la casa automobilistica rumena ha firmato un contratto dove si impegna a versare all’Udinese 500.000 euro l’anno per cinque anni, per un totale quindi di 2,5 milioni in un lustro.

A Reggio Emilia è la Mapei Stadium Srl (controllata al 100% da Mapei) a essere proprietaria dello stadio. Ogni anno il Sassuolo paga, così come la Reggiana, un affitto per l’impianto. La squadra neroverde nello specifico sborsa 2 milioni l’anno.

La Mapei però, azienda di Giorgio Squinzi che è anche lo storico patron del club, ricambia il favore con un contratto di sponsorizzazione per il proprio logo sulle maglie dell Sassuolo pari a 26 milioni annui.

Il Benito Stirpe del Frosinone infine, inaugurato soltanto di recente, non ha ancora ceduto il naming del proprio impianto a nessun marchio. In generale comunque, gli incassi di Juventus e Udinese rimangono sempre minori rispetto alla Premier ma rappresentano senza dubbio una nuova fonte di introiti da incamerare nel proprio bilancio.

Il paradosso italiano

Anche se ancora non siamo ai livelli degli impianti stranieri, Juventus e Udinese stanno iniziando a raccogliere i frutti dei loro investimenti. Naturalmente, gli incassi dell’Allianz Stadium e del Dacia Arena non sono limitati al solo naming ma soprattutto a quelli del match day.

I maggiori benefici quindi si vedranno a lungo termine, con il fatturato della Juventus che comunque, grazie anche alle ottime prestazioni in Champions, con lo stadio di proprietà ha giù fatto registrare un notevole aumento avvicinandosi a quello degli altri top club europei.

Qualcosa quindi in Italia si muove ma è ancora troppo poco. Il problema di fondo è quello della mancanza di una normativa che possa facilitare la costruzione da parte dei club interessati.

Sono anni che una legge a riguardo rimane sepolta in un cassetto senza che nessuno si affanni per accelerare il percorso. In sostanza, quelli che ripetono da tempo che urgono gli stadi di proprietà sono gli stessi che nel concreto non fanno nulla per snellire la burocrazia.

I vari governi non legiferano e la Federazione, oltre che la Lega, non spingono per sbloccare la situazione. Dopo l’uccisione dell’agente Raciti a Catania, ci vollero pochi giorni per approvare una legge contro la violenza negli stadi.

Un paradosso questo che è emblematico della inadeguatezza della nostra governance, impegnata più a mettere in atto giochi di potere per poter mantenere le poltrone che a cercare di migliorare un pallone nostrano che, mai come in questo momento, avrebbe bisogno invece di coraggio e risolutezza.

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