Il ruolo dell’advisor nella nascita e nello sviluppo di una startup. Intervista a Growth Capital

Redazione

10/10/2022

Quali sono ruolo e competenze dell’advisor nella crescita e sviluppo di una startup? Risponde Lorenzo Triboli di Growth Capital, advisor leader in Italia per startup e Pmi.

Il ruolo dell’advisor nella nascita e nello sviluppo di una startup. Intervista a Growth Capital

Nella fase iniziale di avviamento di una startup, il ruolo dell’advisor è indispensabile per analizzare lo sviluppo dell’azienda e individuare i punti cruciali da migliorare, sviluppare o eliminare nel corso del processo. Ma qual è il ruolo dell’advisor nella gestione di un round di investimento e sostegno alla crescita?

Lorenzo Triboli, vicepresidente e Cfo di Growth Capital, advisor leader in Italia per aumenti di capitale e operazioni di finanza straordinaria per startup e Pmi, approfondisce in quest’intervista il ruolo e le competenze dell’advisor, nonché gli aspetti da sviluppare necessari per risultare vincenti agli occhi dei possibili investitori.

Molte startup sono convinte delle potenzialità della loro idea e quindi di poter trovare facilmente soldi sul mercato. Qual è invece la realtà?

«Non tutti i founders che partono con un’idea ottima riusciranno a creare ottime società, che possano avere successo nell’arena del Venture Capital. L’idea è solo l’inizio, ma creare una società in grado di prosperare e raccogliere capitali importanti a supporto della propria crescita richiede una serie di skill e circostanze che vanno oltre. Fondamentale è, ad esempio, la capacità di execution, di poter realizzare la propria strategia in maniera veloce ed efficace, cogliendo anche le opportunità che si presentano sul percorso. È necessario saper costruire un team motivato e competente di cui fidarsi e a cui saper delegare. È fondamentale avere una strategia di go to market vincente in grado di poter scalare le metriche rapidamente e in maniera sostenibile. È importante avere una equity story coerente e una governance sana ed equilibrata. Il raggiungimento di una exit è un percorso tortuoso e avvincente dove è facile incappare in errori: per questo l’idea da sola non basta per raccogliere sul mercato e può essere che qualcuno che sia arrivato dopo o addirittura abbia preso ispirazione dall’idea di qualcun altro, possa avere maggior successo di chi l’ha preceduto

A un’azienda da poco sul mercato, un advisor come Growth Capital come consiglia di muoversi?

«Il Venture Capital ha delle regole del gioco ben definite e delle milestone che gli investitori si aspettano che la società raggiunga man mano che cresce e sale di livello. Per non rischiare di compromettere il proprio percorso, non solo è necessario avere un team con competenze complementari, ma anche sapersi affidare alle persone giuste sugli ambiti in cui i founder e il management sono scoperti. In particolare, un’azienda da poco sul mercato avrà la necessità di coinvolgere i primi investitori – tipicamente Family, Friends and Fools - basandosi essenzialmente sull’idea, sulle potenzialità del mercato e sulla propria credibilità di execution e di poter costruire un team vincente. Per questo spesso chi ha già lanciato e venduto start-up di successo ha maggiore facilità di accesso ai capitali anche in fasi early stage, avendo già dimostrato di saper fare ciò che è necessario per garantire un rendimento agli investitori. I “first time founders” dovranno quindi allargare il proprio network e parlare con più persone possibili nel settore, per avere feedback costruttivi e poter individuare soggetti potenzialmente interessati a finanziare questa fase. Ma bisogna farlo con grande cautela e sapendo cosa si sta facendo, altrimenti il rischio di bruciarsi è elevato. È inoltre importante che nelle fasi iniziali non si commettano errori di creazione di governance squilibrate o di diluizione eccessiva dei fondatori: lo statuto, i patti parasociali e la captable andranno via via a stratificarsi round dopo round ed è fondamentale mantenere l’equilibrio negoziale tra i founder e gli investitori round dopo round. Per fare questo in maniera ordinata, veloce, precisa ed efficace, spesso rivolgersi a dei professionisti che fanno decine di operazioni ogni anno è una buona idea per non sbagliare

Quando si arriva alla necessità di un round di Serie A? Come funziona un passaggio così delicato?
«Rispetto alle fasi seed e pre-seed, le società che si approcciano al Series A hanno già dimostrato la presenza di un product-market fit rispetto all’idea di partenza, oltre alla capacità di creare un primo nucleo centrale di persone con competenze chiave estremamente credibili. Al Series A il focus si sposta sulla traction della società, che deve mostrare metriche valide e in crescita per poter convincere che, realizzando il Series A, la società può potenzialmente esplodere. È necessario inoltre avere una forte conoscenza dei propri clienti chiave e avere una vision definita di dove la start-up vorrà arrivare – eventualmente pensano anche ai mercati internazionali e non più solo all’Italia. Il Series A è un passaggio cruciale perché tipicamente entrano in captable investitori VC istituzionali che devono rispondere a loro volta alle necessità ed esigenze di rendimento dei propri investitori – in cambio, è sempre auspicabile che gli investitori portino in dote non solo le risorse finanziarie, ma anche expertise, network, capacità di supporto strategico e che possano essere dei partner di medio-lungo periodo per la società. La negoziazione delle clausole contrattuali sale di livello in queste fasi ed è sempre prevista una Due Diligence maggiormente formale rispetto alle fasi precedenti. Bisogna inoltre considerare il peso delle decine di ore alla settimana che founder e top management della start-up dovranno dedicare al Series A, senza distogliere la propria attenzione dal business e dalla crescita della società

Come può essere supportata una realtà consolidata in Italia e che ha necessità di fare il salto verso l’estero?
«Fino a qualche anno fa solo un numero esiguo di start-up che avessero superato una certa soglia, ad esempio che si affacciassero al Series B, avevano il privilegio di poter ambire a un investimento da parte di VC internazionali. Ora il trend è cambiato e i fondi internazionali spesso monitorano le realtà italiane più interessanti già al seed, per poter valutare di entrare in round Series A. Con investitori internazionali, il gioco si fa ancora più difficile, dal momento che non si guarda più alla competition locale, ma a quella globale e che gli standard di qualità richiesti sono maggiori sotto tutti i punti di vista (team, captable, equity story, metriche/traction, governance, mercato aggredibile, ecc). In un momento cruciale come lo scaling internazionale, avere il supporto di un advisor che conosce bene i mercati esteri e ha fatto operazioni con VC internazionali è fondamentale per avvicinarsi al meglio alle dinamiche del settore, sapere quali strade prendere e quali scelte evitare. Impostare bene la strategia di fundraising può consentire di risparmiare molto tempo, individuando solo gli investitori che sono in target dal punto di vista dell’esperienza settoriale, focus geografico e ticket medio. Approcciare gli investitori in maniera strutturata rende il processo più agevole, trovando il punto di incontro con delle proposte di dimensione di round e di valuation vantaggiose per la società, appropriate per l’investitore e soprattutto giustificate dalle analisi a loro supporto. Un advisor può fornire una rapidità di esecuzione delle operazioni maggiore e, soprattutto, sgravare il founding team da tutte le attività necessarie per negoziazione, diligence ed execution. In un mondo ideale, il ruolo dei founders potrebbe essere solo quello di presentare la società e la strategia con una documentazione di livello eccezionale a cui si è lavorato a 4 mani

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