Periodo di prova lavoro dipendente: tutto quello che serve sapere

Simone Micocci

7 Giugno 2022 - 15:52

Patto di prova nel contratto di lavoro: cos’è, quanto dura e cosa cambia per licenziamento e dimissioni? Ecco una guida completa.

Periodo di prova lavoro dipendente: tutto quello che serve sapere

Si definisce periodo di prova quel lasso di tempo, la cui durata è indicata nel contratto di lavoro firmato dalle parti, in cui sia il datore di lavoro che il dipendente hanno la facoltà d’interrompere il rapporto di lavoro senza dover rispettare i vincoli imposti dalla normativa per licenziamento e dimissioni.

Si tratta, dunque, di quel periodo che il datore di lavoro si prende per capire se davvero il candidato prescelto soddisfa i requisiti per svolgere le mansioni richieste, come pure per il dipendente di valutare se il nuovo lavoro soddisfa le sue aspettative.

Non bisogna pensare però che nel periodo di prova non ci siano obblighi per le parti, anzi. Intanto è bene sottolineare fin da subito che non esiste periodo di prova senza un contratto firmato: in tal caso, infatti, si parla di lavoro in nero, con tutte le sanzioni del caso.

Ed è importante sottolineare che non sempre il licenziamento è legittimo durante il periodo di prova: negli ultimi anni, infatti, la giurisprudenza è intervenuta più volte facendo chiarezza su limiti e condizioni che potrebbero far risultare illegittima l’interruzione del rapporto di lavoro, anche quando ciò avviene durante il periodo di prova.

Per evitare di commettere gravi errori è bene fare chiarezza sui vari aspetti che caratterizzano il periodo di prova, dalla durata alle tutele riconosciute al dipendente.

Cos’è il periodo di prova

Come visto sopra, il periodo di prova è quel lasso di tempo, generalmente previsto da tutti i contratti lavorativi, in cui sussistono meno vincoli per quanto riguarda dimissioni e licenziamento. Un periodo entro cui le parti verificano la convenienza reciproca del rapporto di lavoro prima che questi diventi definitivo. La normativa di riferimento è l’articolo 2096 del Codice Civile, mentre per quanto riguarda i limiti bisogna far riferimento al contratto collettivo.

È importante che la clausola del periodo di prova venga chiaramente specificata nel contratto: senza di questa, infatti, l’assunzione si considera come avvenuta già con la firma dell’accordo tra le parti, e non sarà dunque condizionata al superamento del periodo di prova.

Quando il periodo di prova è legittimo

L’articolo 2096 del Codice Civile stabilisce che il periodo di prova deve essere indicato in forma scritta. Non è sufficiente, dunque, un accordo privato tra le parti: in assenza della forma scritta questo va considerato come nullo, con l’assunzione del lavoratore definitiva fin da subito. Un principio ribadito dalla giurisprudenza più volte, come ad esempio dalle sentenze della Cassazione n. 9101/1991, n. 11427/1993 e n. 5811/1995.

Inoltre, affinché il periodo di prova sia legittimo, è necessario che nel patto vengano indicate anche le mansioni che il dipendente dovrà svolgere il tale lasso di tempo. Anche in assenza di tale clausola il patto di prova si considera nullo, come sottolineato dalla Cassazione con le sentenze n. 200/1986 e n. 5811/1995.

Quali contratti possono prevedere un periodo di prova

Prevedere un periodo di prova è sempre consentito nei rapporti di lavoro a tempo indeterminato, come pure nei contratti di apprendistato.

Lo è anche nei contratti a tempo determinato, ma con dei limiti ulteriori. Come previsto dal decreto legislativo approvato dal Consiglio dei ministri il 31 marzo scorso, in attuazione della direttiva Ue n. 2019/1152, nei rapporti di lavoro a termine il periodo di prova deve essere deciso in misura proporzionale alla durata del contratto e alle mansioni da svolgere in relazione alla natura dell’impiego.

Quanto dura il periodo di prova

La durata del periodo di prova deve essere indicata nell’apposita clausola. Sono datore di lavoro e dipendente, dunque, ad accordarsi in merito. L’unico vincolo per l’azienda è quello di attenersi al limite massimo indicato dalla contrattazione collettiva.

Il periodo di prova, dunque, non può essere superiore al limite indicato nel Ccnl di categoria. Per quanto riguarda i contratti a tempo determinato, invece, vale l’ulteriore condizione di cui sopra: la durata, infatti, dovrà comunque essere proporzionale alla durata del contratto.

Retribuzione nel periodo di prova

Ribadiamo: durante il periodo di prova il dipendente ha diritto alle stesse tutele che gli verrebbero riconosciute una volta avviato il rapporto di lavoro. Ciò vale anche per la retribuzione: tale periodo deve dunque essere retribuito regolarmente, in base allo stipendio indicato nel contratto.

Non sono ammesse altre forme di remunerazione: ad esempio, per tale periodo non può essere riconosciuto un solo rimborso spese.

Assenza dal lavoro durante il periodo di prova

Che succede se ci si assenta durante il periodo di prova? Con la sentenza n. 19043 del 2015 la Corte di Cassazione ha precisato che eventuali periodi assenza sospendono il periodo di prova. I termini dello stesso, quindi, riprendono una volta che il dipendente farà ritorno al lavoro.

Nel dettaglio, qui la suprema Corte ha chiarito che il periodo di prova deve essere effettivamente lavorato: ciò detto, il decorso si sospende ogni qual volta il dipendente non si presenta al lavoro, ad esempio nei casi di malattia e infortunio, ma anche per il periodo in cui si gode delle ferie aziendali.

Licenziamento durante il periodo di prova

Come anticipato, durante il periodo di prova il datore di lavoro può interrompere il rapporto di lavoro senza doversi attenere ai vincoli dettati dalla normativa per il licenziamento. Ad esempio, è possibile interrompere il rapporto di lavoro senza necessità di preavviso, quindi senza rischiare di dover corrispondere la relativa indennità al dipendente.

Affinché il licenziamento possa essere legittimo, però, bisogna che al dipendente sia stata data effettivamente la possibilità di dimostrare la propria capacità a svolgere le mansioni indicate nella clausola del patto di prova. Tant’è che la giurisprudenza concorda nel ritenere illegittimo - lo ha fatto la Cassazione con le sentenze n. 1104/1989 e n. 4578/1986 - il licenziamento nel periodo di prova dopo un lasso di tempo troppo breve, nonché in assenza di una reale valutazione delle capacità professionali del dipendente. Diversamente, quando a questo è stato concesso un tempo ragionevole per dimostrare cosa sa fare, il licenziamento per prova fallita è sempre legittimo.

Tant’è che, come si legge nel 3° comma dell’articolo 2096 del Codice civile, quando nel contratto per la prova è stabilito “un tempo minimo necessario, la facoltà di recesso non può esercitarsi prima della scadenza del termine”.

Dimissioni durante il periodo di prova

Per le dimissioni durante il periodo di prova vale quanto già detto per il licenziamento: non serve osservare il preavviso. Il dipendente, quindi, può andarsene in ogni momento, con la possibilità di rassegnare le dimissioni in tronco.

Attenzione però: le dimissioni rassegnate durante il periodo di prova sono comunque considerate come atto volontario del dipendente, al pari di quanto succede una volta avviato il contratto vero e proprio. Ciò significa che neppure le dimissioni rassegnate durante il periodo di prova danno accesso alla Naspi, salvo il caso in cui sussista la giusta causa.

Differente il caso del reddito di cittadinanza. Secondo quanto stabilito dall’articolo 2, comma 3, del dl n. 4/2019, infatti, non ha diritto al Rdc il componente del nucleo familiare disoccupato a seguito di dimissioni volontarie nei 12 mesi successivi alla data delle dimissioni. Tuttavia, come spiegato dall’ufficio legislativo del ministero del Lavoro con parere prot. n. 10617/2020, tra le dimissioni che impediscono la percezione del reddito di cittadinanza non si considerano quelle rassegnate durante il periodo di prova, vista la “specialità e la precarietà” di tale periodo in cui il lavoratore “può sperimentare le proprie capacità e valutare il tipo di lavoro”.

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