Il matrimonio va comunicato al datore di lavoro?

Ilena D’Errico

24 Settembre 2023 - 16:16

Il matrimonio va comunicato al datore di lavoro? Ecco cosa prevede la legge, quando il dipendente è tenuto ad avvisare e quali sono le tutele.

Il matrimonio va comunicato al datore di lavoro?

I futuri coniugi spesso temono di comunicare al datore di lavoro il matrimonio, nella maggior parte dei casi per la paura di ripercussioni professionali, come il licenziamento. La legge, però, prevede delle tutele specifiche per evitare che i dipendenti siano penalizzati dalla scelta di sposarti e oltretutto non è nemmeno sempre obbligatorio dare questa informazione al datore di lavoro.

Vediamo a cosa fare attenzione.

Il matrimonio va comunicato al datore di lavoro?

Il matrimonio riguarda esclusivamente la vita privata e non ha alcuna attinenza con la sfera professionale; perciò, non è obbligatorio comunicarlo al datore di lavoro. Quest’ultimo non ha alcun diritto per pretendere informazioni personali dei dipendenti che non siano giustificate dall’interesse professionale.

Questo significa che qualsiasi aspetto della vita privata può essere mantenuto tale senza mettere il datore di lavoro al corrente, fintanto che appunto non intacca il lavoro in sé. A maggior ragione, tutti quegli elementi che possono dare oggetto a discriminazioni non devono per forza essere comunicati.

Evidentemente il fatto che un dipendente sia sposato o debba sposarsi non rileva assolutamente, a meno che intenda usufruire del congedo matrimoniale. In questo caso è invece necessario avvisare correttamente il datore di lavoro del matrimonio, non in quanto all’unione in sé e per sé ma in riferimento al congedo.

Il congedo non è obbligatorio, pertanto chi non desidera usufruirne può omettere tranquillamente la comunicazione. La paura di ritorsioni non dovrebbe, tuttavia, influenzare questa decisione, poiché come vedremo ci sono alcune tutele legali.

Congedo matrimoniale, quando comunicare il matrimonio

La legge prevede il congedo matrimoniale, ovvero un periodo di solito pari a 15 giorni in cui i neosposi possono assentarsi da lavoro venendo comunque regolarmente retribuiti (nella maggior parte dei casi direttamente dal datore di lavoro, anche se per alcune categorie di lavoratori l’assegno è erogato dall’Inps in misura ridotta). Questo congedo è previsto in modo specifico per il matrimonio (o l’unione civile) ed è dunque del tutto indipendente da altri congedi, permessi o agevolazioni. Il Ccnl può poi prevedere condizioni diverse, ma non cambiano le tempistiche da rispettare.

Il congedo deve essere richiesto al datore di lavoro almeno 6 giorni prima della partenza (o primo giorno di astensione), poi il dipendente è comunque tenuto a consegnare il certificato con la data delle nozze entro 60 giorni dalla celebrazione. Di norma, il congedo può essere utilizzato entro il 30° giorno successivo al matrimonio, anche se alcuni Ccnl prevedono tempi più elastici.

È comunque fondamentale rispettare precisamente queste scadenze per poter usufruire del congedo o, altrimenti, parlare in anticipo con il datore di lavoro se si teme di non riuscire a organizzare il viaggio di nozze entro i tempi previsti. In questo modo, in caso di mancato accordo sarà possibile risolvere il problema e rispettare poi i tempi di preavviso.

Si ricorda che per consuetudine si fa coincidere il periodo di congedo nuziale con il viaggio di nozze, ma non è assolutamente obbligatorio e il congedo spetta anche se i novelli sposi vogliono semplicemente prendere una pausa dal lavoro.

Licenziamento in caso di matrimonio

I dipendenti non possono essere licenziati a causa del matrimonio, annunciato per tempo o meno, e a prescindere di eventuali problemi organizzativi o clausole contrattuali. In particolare, la legge 198/2006 vieta il licenziamento della lavoratrice nel periodo tra la richiesta di pubblicazione di matrimonio fino a 1 anno dalla data delle nozze.

Il licenziamento è dunque possibile soltanto se ci sono altri motivi che lo causano fra quelli permessi dalla legge, come il licenziamento per giusta causa, la risoluzione per scadenza contrattuale o la cessazione dell’attività aziendale.

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