La pensione data al figlio è anticipo dell’eredità?

Claudio Garau

25/08/2023

Dato che le successioni comportano precisi diritti e doveri, che cosa succede in ipotesi di denaro della pensione dato al figlio convivente? Confluisce nell’eredità? I chiarimenti della Cassazione.

La pensione data al figlio è anticipo dell’eredità?

Di fondamentale importanza è capire quando sussiste, o meno, un anticipo dell’eredità con riferimento a beni e / o somme di denaro del soggetto deceduto. Questo infatti permette di capire come distribuire il patrimonio del defunto agli eredi. In materia una questione pratica non infrequente è la seguente: quando il denaro della pensione dato al figlio convivente si ritiene già eredità o anticipo di eredità? Ebbene, a questa spinosa domanda ha dato risposta un provvedimento della Cassazione di quest’anno, l’ordinanza n. 18814/2023.

La Suprema Corte ancora una volta, occupandosi di una causa specifica, ha offerto un’interpretazione utile per una pluralità di casi analoghi e ha aiutato così a capire quando è possibile definire “donazione” i soldi dati al figlio convivente.

Inoltre, l’uso di una parte della pensione del genitore per i bisogni personali è da ritenersi rientrante nel meccanismo della “collazione”? Di seguito daremo tutti i chiarimenti a riguardo, in modo da rispondere al quesito posto in apertura - ma non prima di aver fatto alcune precisazioni sul contesto di riferimento. I dettagli.

Anticipo dell’eredità e donazione: chiarimenti

La legge italiana è precisa sul punto: ogni accordo tra due o più soggetti mirato a regolare la divisione del patrimonio di uno di questi - prima del proprio decesso - è illegittimo. Si tratta del divieto di patti successori, fissato dall’art. 485 del Codice Civile.

Da un lato non è ammesso dunque il diritto all’eredità anticipata, tuttavia è vero che è possibile conseguire una sorta di ’regalo’ dal proprio familiare - attraverso la donazione, con la quale chiunque può disporre in vita dei propri beni come meglio crede.

Ecco perché è corretto dire che il figlio - convivente o meno - può ottenere un bene al proprio genitore come una sorta di anticipo sulla sua futura eredità, attraverso la citata donazione. Ma attenzione: si tratta pur sempre di una facoltà del genitore donante e non di un diritto del figlio, siccome per loro natura le donazioni sono frutto di spirito di liberalità e, perciò non sono dovute.

Un importante limite alla donazione tra genitore e figlio

La donazione non può mai mettere a rischio le quote spettanti, per legge, ai cosiddetti eredi legittimari, vale a dire i familiari più stretti come il marito o la moglie e l’eventuale prole. Il Codice Civile infatti riconosce sempre a questi ultimi una quota del patrimonio del defunto - anche se questi ha disposto in modo diverso nel suo testamento.

Detta quota minima, che prende il nome di ’legittima’, non può essere negata neppure con testamento. Chiaramente, gli altri figli potrebbero contestare le attribuzioni fatte in vita dal genitore nei confronti di un figlio, anche con pensione. Ed è stato proprio il caso di cui si è occupata la Corte di Cassazione con l’ordinanza n. 18814.

Pertanto chi ottiene una donazione - anche il figlio (convivente o meno) dal proprio genitore - deve ricordare che, se questa lede le quote dei legittimari (ad es. gli altri figli), può essere da questi ultimi costretto a restituire quanto versato.

In sintesi:

  • la donazione eseguita a favore degli eredi legittimari del donante è ritenuta dalla legge un anticipo di eredità;
  • di conseguenza, alla data del decesso del cd. de cuius, essa dovrà essere imputata alla quota riservata, per garantire i diritti degli eredi.

Cos’è la collazione?

Lo rimarchiamo per chiarezza: nel caso in cui un erede abbia ottenuto dal defunto, prima del suo decesso, una o più donazioni, la legge le considera di fatto un’anticipazione della quota di legittima. È l’ipotesi anche della pensione data al figlio, che qui interessa in particolare.

Sopra abbiamo detto che le donazioni non possono ledere le quote minime spettanti agli eredi legittimari e, proprio per questo, esiste un calcolo ad hoc previsto dalla legge. Quest’ultimo si chiama ’collazione’ e tramite esso i discendenti e il coniuge, che accettano l’eredità, inseriscono nell’asse ereditario - ovvero l’insieme dei beni e delle passività (ad es. debiti) che formano l’eredità stessa - quanto hanno conseguito per donazione dal defunto, quando era in vita. Chiaramente il fondamento giuridico della collazione sta nella considerazione delle donazioni come anticipazioni dell’eredità.

Ecco perché la collazione ha un’importanza chiave: qualora un erede legittimario ritenga di aver patito una lesione della cd. legittima, tutto ciò che è stato ottenuto dal defunto anche a titolo di donazione - e dunque potenzialmente anche la pensione - è incluso nel calcolo della stessa legittima per controllare se vi sono state violazioni della legge. In estrema sintesi, con la collazione si quantifica in modo preciso il valore di tutto ciò che gli eredi hanno ottenuto dal de cuius con il suo testamento e / o con eventuali donazioni.

Distinzione tra donazione e obbligazioni di convivenza

Le premesse di cui sopra ci aiutano ad inquadrare il contesto di riferimento e a capire l’utilità dell recente provvedimento della Cassazione, che chiarisce se la pensione data al figlio convivente deve essere considerata anticipo dell’eredità. In questo caso si applica sempre il meccanismo della collazione?

Ebbene, secondo l’ordinanza di questo giudice:

  • la collazione si applica nei confronti delle donazioni fatte al figlio convivente, soltanto quando è dimostrata la volontà di compiere una effettivo arricchimento per generosità. Alla base deve ricorrere perciò il cd. spirito di liberalità e dunque la volontà di donare senza voler ricevere nulla in cambio;
  • la collazione non si applica invece alle somme della pensione del genitore defunto, utilizzate a suo tempo dal figlio convivente per le necessità quotidiane. E questo per un motivo molto semplice: i conviventi sono obbligati al reciproco supporto (anche economico), in virtù di un dovere di solidarietà che riguarda i componenti dello stesso nucleo familiare.

Pertanto il solo fatto di contribuire ai bisogni giornalieri del figlio convivente non comporta una donazione effettiva - e dunque un anticipo dell’eredità.

Conclusioni

La Corte di Cassazione ha così sancito che la collazione non vale nei confronti della pensione data al figlio convivente, a patto che non sia provato che l’attribuzione sia stata eseguita per spirito di liberalità - e non per adempimento delle obbligazioni che scaturiscono dal rapporto di convivenza. In pratica, se il denaro era rivolto a coprire le spese di ogni giorno (ad es. alimenti, medicinali ecc.) o ad adempiere ad altri doveri derivanti comunque dalla convivenza, non può essere ritenuto un anticipo dell’eredità.

Chiaramente saranno gli eredi legittimari ad avere tutto l’interesse a provare in giudizio che si tratta di un gesto di liberalità e dunque di una donazione, in modo da far rientrare nella collazione i soldi della pensione al figlio convivente. Ma la Cassazione, nel caso concreto deciso con l’ordinanza citata, non ha ravvisato elementi utili alla dimostrazione dello spirito di liberalità e all’inclusione del denaro nell’eredità.

Va da sé, invece, che sarebbe ben più agevole la dimostrazione - in corso di causa - di un’effettiva donazione in caso di denaro dato al figlio o alla figlia non convivente.

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