L’azienda può chiedere il risarcimento danni al lavoratore?

Claudio Garau

16/10/2023

Se un dipendente si rende responsabile di danni nei confronti dell’azienda, quali rimedi possono essere utilizzati per ottenere il risarcimento? Facciamo chiarezza.

L’azienda può chiedere il risarcimento danni al lavoratore?

Diritti e doveri di azienda e dipendenti sono ben dettagliati nei contratti collettivi e nel contratto individuale, ma qualche dubbio potrebbe sorgere in merito ai casi in cui un lavoratore si renda responsabile per danni nell’esercizio delle mansioni per cui è stato assunto.

Pensiamo ad esempio alla circostanza in cui il datore di lavoro sostenga che il dipendente abbia rotto un macchinario o un attrezzo, ma non soltanto: a causa di ciò è calata la produzione della giornata e si sono registrati dei danni ulteriori per l’azienda, a causa dei mancati incassi quotidiani. Non sorprenderebbe una richiesta di risarcimento danni da parte dell’azienda, con minaccia di trattenuta delle somme dalla busta paga.

Ebbene, posto che l’azienda può chiedere il risarcimento danni al lavoratore, in che modo può farlo? Quali regole deve rispettare? Se vuoi saperne di più, prosegui nella lettura e scoprirai come l’azienda potrà ottenere dal dipendente quanto gli spetta.

Quando il dipendente è responsabile per danni nei confronti del datore di lavoro?

Non in tutte le situazioni chi è stato assunto, può essere ritenuto responsabile per danni. La legge è chiara a riguardo, in quanto si è tenuti a rispondere se il danno è stato prodotto:

  • per propria volontà (con dolo);
  • per negligenza, imprudenza o imperizia (per colpa).

D’altronde la legge, all’art. 2043 del Codice Civile, è molto chiara, stabilendo che qualunque fatto doloso o colposo, che cagiona ad altri un danno ingiusto, obbliga colui che lo ha commesso a risarcire il danno.

Va da sé che, per capire quando l’azienda può chiedere il risarcimento danni al lavoratore, il danno andrà valutato caso per caso secondo la situazione concreta. Per fare un esempio, se un operaio che lavora in fabbrica rompe una macchina durante l’uso ordinario, ovvero la utilizza ma quest’ultima smette di funzionare per un guasto a lui non imputabile, l’azienda non potrà verosimilmente indicarlo come responsabile per danni e chiedergli un risarcimento, pur rimettendoci sul piano della produzione e del profitto. Si tratta infatti di un evento esterno e accidentale, per questo non imputabile al lavoratore.

Ben diverso è il caso della colpa, ovvero del mancato rispetto del Ccnl di riferimento, del regolamento aziendale o delle norme di sicurezza: in queste circostanze il datore di lavoro potrà chiedere un risarcimento danni al lavoratore che, con un errore nella sua attività, si è dimostrato imprudente, negligente o imperito.

E, a maggior ragione, si aprirà la strada del risarcimento in ipotesi di dolo, ovvero di volontà del dipendente di arrecare un danno all’azienda. Si tratta ad es. del caso in cui il lavoratore, magari per un torto che ritiene di aver subito al lavoro, manomette intenzionalmente un macchinario al fine di romperlo o renderlo inutilizzabile.

Il rapporto di causalità

Per capire quando l’azienda può chiedere il risarcimento danni al lavoratore rileva ciò che gli avvocati civilisti conoscono molto bene, ovvero il rapporto di causalità. Che cos’è? Ebbene detto rapporto è la condizione primaria, affinché un lavoratore possa essere ritenuto responsabile per danni patiti dall’azienda.

In termini pratici, in corso di un’eventuale controversia in tribunale, dovrà emergere che il danno è conseguenza immediata e diretta del comportamento doloso o colposo del dipendente. Altrimenti il datore di lavoro o l’azienda non potranno ottenere un risarcimento danni.

Su questi temi, oltre al dato della legge, è stata la giurisprudenza a fornire interessanti chiarimenti. Per esempio, al fine di accertare responsabilità e entità del risarcimento, il livello di colpa andrà valutato con maggior rigore nel caso di lavoratori altamente qualificati o con funzioni di vertice, perché chiaramente ci si aspetta molta perizia, prudenza e assenza di negligenza in chi ha ottenuto un ruolo importante in azienda.

Il rilievo dell’esperienza e della formazione e il caso dell’usura: chiarimenti

Tuttavia è anche vero che, per capire quando l’azienda può chiedere il risarcimento danni al lavoratore, occorre fare attenzione al livello di esperienza che ha il dipendente e alla formazione che gli è stata data. Infatti nelle cause su questi temi, che ovviamente negli anni non sono mancate, la giurisprudenza - in particolare quella della Cassazione - ha stabilito che il dipendente che produce un danno non ne è responsabile:

  • se viene dimostrato di non essere stato opportunamente istruito sulle mansioni o sugli strumenti in dotazione;
  • se il suo grado di specializzazione non è tale da implicare un elevato livello di preparazione, e dunque di responsabilità nell’esercizio delle mansioni.

Non solo. L’azienda può chiedere - ed ottenere - il risarcimento danni dal lavoratore, soltanto se non emerge - in corso di un’eventuale controversia - il rilievo dell’usura nel determinare il danno. In termini pratici, nel caso in cui un lavoratore danneggi un macchinario o un veicolo in dotazione, pur anche con uso improprio o imprudente, non potrà essere ritenuto responsabile se emergerà lo stato di usura dello strumento e il suo logoramento legato al tempo.

Onere della prova

Sarà l’azienda il soggetto obbligato a provare la colpa o il dolo del lavoratore. Perciò il datore di lavoro può chiedere il risarcimento danni al lavoratore, ed ottenerlo, soltanto se in grado di dimostrare elementi quali il comportamento pregiudizievole del dipendente, il danno direttamente legato a quest’ultimo (rapporto di causalità) e l’ammontare del danno. Dovrà anche essere dimostrato l’aver dato al lavoratore le corrette e sufficienti istruzioni per evitare di compiere il danno.

Potrà farlo in giudizio, con il supporto dell’avvocato, dato che - ovviamente - il datore di lavoro non sarebbe altrimenti imparziale nel dare le proprie valutazioni e nel liquidare la somma da versare a titolo di risarcimento danni. Salvo il caso dell’accordo con il lavoratore stesso, infatti, occorrerà rivolgersi ad un magistrato, figura neutrale per definizione.

Azienda o datore di lavoro dovranno così fare causa al lavoratore, perché sia il tribunale a stabilire l’entità della somma del risarcimento, oltre ovviamente a chiarire in primis la responsabilità del dipendente. Ovviamente quest’ultimo potrà difendersi e - ad esempio - fornire le prove di non esser stato sufficientemente addestrato dall’azienda e di aver così commesso il danno per inesperienza.

La trattenuta sullo stipendio

Come abbiamo visto finora, l’azienda può chiedere il risarcimento danni al lavoratore rispettando una serie di regole e può anche fare una trattenuta sulla busta paga del lavoratore (e sul TFR), qualora emerga la sua responsabilità per danni. D’altronde è evidentemente il rimedio più veloce per recuperare il dovuto.

Attenzione però, la trattenuta non sarà possibile in via preventiva poiché vi deve prima essere una sentenza di condanna, che liquida l’entità esatta del danno. Solo il giudice è infatti la figura idonea ad accertare il danno e a liquidarlo con certezza, anche attraverso le eventuali relazioni di periti. Emesso il provvedimento del giudice, l’azienda sarà libera di fare la trattenuta sullo stipendio per compensare quanto patito.

Si può trattenere soltanto il quinto?

Come abbiamo visto, l’azienda può trattenere l’ammontare del risarcimento danni dalla retribuzione oppure dal TFR, e potrà farlo senza subire il limite del quinto dello stipendio. In molti non lo sanno, ma detto vincolo si applica ai casi di pignoramento - e non di risarcimento danni per dolo o colpa del dipendente.

Questo perché la legge non vieta che la compensazione di un credito con un debito sia integrale. In termini pratici, se un lavoratore è dichiarato responsabile del danno, l’azienda potrebbe evitare di versare anche tutto lo stipendio - se il risarcimento liquidato con provvedimento del giudice dovesse essere di importo uguale o superiore. Addirittura il datore potrebbe intervenire integralmente su più mensilità.

Sanzioni disciplinari

C’è un altro piano su cui il datore può agire per tutelarsi, ed è quello disciplinare. Infatti non solo l’azienda può chiedere il risarcimento danni al lavoratore, ma può anche avviare un procedimento disciplinare - sia in alternativa all’azione di risarcimento danni in tribunale, sia insieme ad essa (la soluzione preferibile).

Il procedimento disciplinare potrebbe portare ad un richiamo scritto o a sanzioni di una certa entità come la sospensione. Laddove la violazione sia stata molto grave, ed abbia determinato un danno consistente, l’azienda potrebbe scegliere la sanzione del licenziamento per giusta causa. In ogni caso, però, la sanzione dovrà essere preceduta dal procedimento disciplinare, che prevede opportuni mezzi di tutela e di difesa per il dipendente.

Ecco perché è sempre preferibile che il datore di lavoro renda noto a tutto il personale un dettagliato regolamento aziendale con tutti i diritti e gli obblighi del lavoratore, e le conseguenze in caso di violazione.

Cosa succede se l’azienda non trova il responsabile?

Specialmente nelle aziende molto grandi e con un alto numero di lavoratori al suo interno, potrebbe risultare arduo individuare il responsabile del danno. Basti pensare al caso del capannone industriale con numerosi operai al suo interno. Ebbene, in circostanze come queste, il datore di lavoro - pur mosso magari dalla rabbia o dallo sconforto di non riuscire ad appurare la verità - non potrà comunque rivalersi sugli altri dipendenti, diversi dal responsabile.

Ovvero, per legge nessun dipendente può essere obbligato a risarcire un danno cagionato da colleghi o da altri dipendenti, che restano nell’anonimato e che non sono scovati dall’azienda. Come chiarito dalla giurisprudenza, dunque, il datore di lavoro non potrà spalmare su tutti i lavoratori il danno realizzato da uno solo. La responsabilità in detti casi è da ritenersi individuale.

Ricordiamo, infine, che il diritto al risarcimento del danno si prescrive in cinque anni dal giorno in cui il fatto si è verificato.

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