Crisi economica in Europa, a che punto siamo? Perché non c’è ancora ottimismo

Violetta Silvestri

24/01/2024

La crisi economica in Europa in numeri: cosa hanno svelato gli ultimi dati Pmi e perché lo scenario resta cupo per la crescita della regione? In focus anche le debolezze di Francia e Germania.

Crisi economica in Europa, a che punto siamo? Perché non c’è ancora ottimismo

Nuovi dati sull’Eurozona confermano un inizio anno tra luci e ombre.

I risultati preliminari sui Pmi composito, manifatturiero e dei servizi dei Paesi a moneta unica e delle principali potenze del blocco, Francia e Germania, hanno svelato un quadro economico ancora incerto.

In sostanza, leggendo i numeri appena pubblicati, la flessione dell’attività economica nella zona euro si è attenuata questo mese, ma il miglioramento delle prospettive manifatturiere è stato in parte controbilanciato da un calo più marcato nel settore dei servizi.

I numeri arrivano meno di una settimana prima della pubblicazione dei dati sulla produzione del quarto trimestre, che probabilmente dimostreranno che il blocco dei 20 membri è scivolato in recessione. Mentre una revisione dei dati ha decretato solo una stagnazione in Germania a fine 2023, alcuni economisti prevedono però che l’inizio del 2024 vedrà un’altra contrazione nella più grande economia della regione.

Intanto, i dati Pmi tedeschi di gennaio rimangono cupi, con un inizio difficile del 2023 sia per il Paese che per la Francia. In un contesto poco chiaro anche a livello mondiale, con una ripresa che stenta tra tensioni geopolitiche, commerciali e banche centrali incerte, l’Europa non è pienamente ottimista ancora sulla sua ripresa.

La crisi economica in Europa in numeri: cosa sta succedendo?

I dati di mercoledì 24 gennaio hanno mostrato che l’indice dei responsabili degli acquisti di S&P Global è salito a 47,9, appena al di sotto dei 48 previsti dagli economisti e il più vicino al livello di 50, che segna l’espansione, da luglio. Questo miglioramento è stato spinto dal settore manifatturiero, che è balzato al massimo in 10 mesi, mentre i servizi hanno sfidato le aspettative degli analisti e sono scesi.

“L’inizio dell’anno porta buone notizie per la zona euro poiché il settore manifatturiero sperimenta un diffuso allentamento della traiettoria discendente osservata nell’ultimo anno”, ha affermato Cyrus de la Rubia, capo economista della Hamburg Commercial Bank.

Il Pmi dei servizi è sceso però al minimo di tre mesi di 48,4 dal 48,8 di dicembre, deludendo le aspettative di un aumento a 49,0 secondo un sondaggio Reuters.

Tuttavia, l’ottimismo per l’anno a venire è migliorato e l’indice delle aspettative delle imprese è balzato a 59,8 da 58,3.

Attenzione massima per il ritorno dell’inflazione, con l’aumento degli indici dei prezzi sia di input che di output. Nello specifico, l’indice dei prezzi alla produzione è salito a 54,2 da 53,8, il livello più alto dal maggio dello scorso anno. Ciò probabilmente deluderà i politici della Bce, desiderosi di riportare l’inflazione al loro obiettivo del 2%.

Quali avvertimenti per la Bce?

“Nel dibattito in corso su quale sia la tempistica ottimale per i tagli dei tassi, gli indicatori dei prezzi Pmi si allineano con i sentimenti dei falchi”, ha avvertito de la Rubia. Questo significa un più probabile slittamento della prima diminuzione del costo del denaro a favore di tassi più alto più a lungo.

“La debolezza degli indici principali, unita all’evidenza di persistenti pressioni sui costi, non sono certo incoraggianti per la Bce in vista della riunione politica di domani”, ha sottolineato Valentin Marinov, responsabile della strategia G10 FX presso Credit Agricole. “In particolare, sarebbe interessante vedere per quanto tempo il Consiglio direttivo potrà ignorare i deboli Pmi nel suo tentativo di domare l’inflazione”.

Le riflessioni sui dati dell’Eurozona sono ad ampio raggio. Secondo S&P Global, la crisi nel Mar Rosso, che costringe le navi a fare una deviazione intorno all’Africa, sta avendo un impatto negativo sulle catene di approvvigionamento del settore manifatturiero. L’effetto sui prezzi è stato tuttavia limitato e suggerisce che “le spese di trasporto non stanno ancora esercitando un’influenza forte sui costi unitari aggregati della miriade di beni di consumo che attraversano questo percorso”, ha affermato de la Rubia. Ma l’allerta su future scosse nei prezzi c’è.

La crisi di Francia e Germania

Le indagini congiunturali di S&P Global hanno mostrato che la flessione dell’anno scorso nei due Paesi è proseguita a un ritmo leggermente più accentuato a gennaio, mentre gli economisti si aspettavano che la situazione migliorasse leggermente. Né il settore manifatturiero né quello dei servizi sono riusciti a ritornare a livelli indicativi di crescita.

“Quando si valuta la performance di Germania e Francia, la questione che ci si pone è chi stia attraversando un periodo più difficile”, ha affermato Cyrus de la Rubia. Il settore manifatturiero mette la Germania in una posizione leggermente migliore rispetto alla Francia.

“Una spiegazione plausibile è che l’ambiente esterno al di fuori della zona euro sta mostrando segnali di miglioramento, fornendo alla Germania, con la sua sostanziale esposizione alle esportazioni, un vantaggio relativo”, ha osservato.

Berlino ha mostrato anche che gli afflussi di nuovi lavori sono diminuiti per il nono mese poiché i clienti sono rimasti titubanti a causa degli elevati costi di finanziamento e dell’incertezza geopolitica. Il Paese ha avuto un “inizio lento del nuovo anno”, ha detto de la Rubia e questo non è rincuorante.

L’attività dei servizi non solo è diminuita per il quarto mese consecutivo, ma ha anche accelerato la sua recessione e il settore manifatturiero, rimasto in territorio recessivo per il 19esimo mese consecutivo, ha mostrato una flessione in qualche modo attenuata. Tuttavia, è presto per essere ottimisti secondo l’analisi.

In Francia, “i prezzi dei fattori produttivi sono aumentati a causa dei salari più alti, confermando le preoccupazioni dei membri della Bce riguardo al taglio anticipato dei tassi di interesse”, ha affermato Norman Liebke, economista della Hamburg Commercial Bank. Le aziende sono riuscite in gran parte a trasferire i costi sui clienti, il che spiega l’aumento dei prezzi di vendita e suona un nuovo allarme sull’inflazione.

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