Cosa significa (davvero) il declino dell’euro e perché preoccuparsi

Violetta Silvestri

9 Settembre 2023 - 10:13

Un euro più debole sul dollaro allarma l’Europa: dietro il declino della moneta unica si celano tutti i problemi della regione che va verso la recessione e continua a temere un’inflazione elevata.

Cosa significa (davvero) il declino dell’euro e perché preoccuparsi

L’euro ha concluso l’ottava settimana consecutiva di perdite rispetto al dollaro, mentre gli investitori reagiscono a un divario sempre più ampio tra l’economia vacillante nell’Eurozona e una crescita più robusta negli Stati Uniti.

La valuta comunitaria si è attestata a 1,0700 dollari, perdendo più del 5% da metà luglio. Il costante ribasso riflette i crescenti dubbi sulla possibilità che la Bce alzerà nuovamente i tassi di interesse nella riunione della prossima settimana, tra segnali diffusi che la ripresa è assai debole e la regione si sta dirigendo verso una recessione.

Secondo diversi analisti, infatti, la direzione dell’EUR/USD sembra ora essere legata a quale economia sopporterà meglio le conseguenze della politica monetaria restrittiva, quale atterraggio sarà più morbido e quale Paese riuscirà a crescere a un ritmo più rapido.

A differenza dei dati incoraggianti degli Stati Uniti, quelli dell’Eurozona sono stati deboli, evidenziando lo squilibrio tra le due principali economie. In questo senso, è facile spiegare il continuo calo del cambio EUR/USD. E le previsioni cupe sulla crescita del vecchio continente.

L’euro suona l’allarme sull’Europa: la ripresa non c’è

La debolezza dell’euro sul dollaro si può riassumere in una settimana di dati scoraggianti per il vecchio continente.

Gli investitori sono rimasti delusi poiché i dati macroeconomici dell’Ue hanno suggerito una battuta d’arresto economica più ripida del previsto. Le vendite al dettaglio sono diminuite dello 0,2% a luglio, mentre la fiducia degli investitori Sentix è scesa a -21,5 a settembre.

Tuttavia, i dati più preoccupanti provengono dalla Germania, poiché gli ordini alle fabbriche sono crollati del 10,5% su base annua a luglio, mentre la produzione industriale si è contratta del 2,1% nello stesso periodo.

Infine, S&P Global ha rivisto al ribasso i Pmi compositi e dei servizi di agosto. L’indice dei servizi tedesco si è confermato a 47,3, ma quello dell’Eurozona è risultato a 47,9 contro la precedente stima di 48,3.

Il Pmi composito dell’Ue è stato riportato a 46,7, il minimo di quasi tre anni. Il rapporto ufficiale ha indicato che la produzione è diminuita sia nel settore dei servizi che in quello manifatturiero, aggiungendo che, escluso il periodo pandemico, l’attività è scesa maggiormente da marzo 2013.

Infine, il Pil dell’Ue nel secondo trimestre è stato rivisto allo 0,1% su base trimestrale contro lo 0,3% precedentemente calcolato. L’Europa soffre di stagnazione e si trova ancora ad affrontare elevati rischi di inflazione.

Alcuni investitori parlano ora di un periodo di stagflazione per l’area euro, ovvero di un’elevata inflazione combinata con una crescita economica stagnante.

Nel frattempo, le richieste di sussidio di disoccupazione negli Stati Uniti sono diminuite inaspettatamente, l’ultimo segnale di resilienza del mercato del lavoro. Ciò probabilmente incoraggerà la Federal Reserve americana a mantenere i tassi a un livello elevato più a lungo, aumentando l’attrattiva del dollaro.

Il biglietto verde, inoltre, beneficia anche del suo status di bene rifugio che spinge gli investitori all’acquisto quando incertezza e volatilità rendono la propensione al rischio poco sicura di remunerazione. Considerando l’attuale situazione economica globale, tra debolezza cinese, guerra in Ucraina, tensioni geopolitiche Usa-Cina, settore tech in bilico, le azioni non stanno brillando.

Europa (ed euro) nella trappola inflazione e recessione

Alcuni investitori ritengono che gli incombenti segnali di recessione in Europa renderanno difficile per la Bce aumentare ancora una volta i costi di finanziamento, anche se ritiene necessario riportare l’inflazione al suo obiettivo del 2%. La riunione del 14 settembre è molto attesa con queste premesse.

L’inflazione core, che esclude i prezzi più volatili dell’energia e dei prodotti alimentari ed è attentamente monitorata dalla banca centrale, rimane ben al di sopra dell’obiettivo del 5,3%.

“[Un ulteriore aumento dei tassi] potrebbe effettivamente essere controproducente perché se entrassero in recessione significa che dovranno tagliare molto di più in futuro”, ha affermato Tomasz Wieladek, capo economista europeo di T Rowe Price.

Un’Europa in declino in termini di crescita e con una pausa nel rialzo del costo del denaro non aiuterebbe il rafforzamento dell’euro. Un’ulteriore debolezza della moneta unica, inoltre, potrebbe complicare il compito della Bce di combattere l’inflazione facendo aumentare il costo delle importazioni, come energia e prodotti alimentari.

Anche il balzo del prezzo del petrolio dopo che l’Arabia Saudita e la Russia hanno esteso i tagli alla produzione questa settimana ha aumentato le pressioni inflazionistiche. Il greggio Brent è salito sopra i 90 dollari al barile questa settimana, il livello più alto dallo scorso novembre.

Se i prezzi energetici tornano a crescere - anche il gas sta salendo su nuove preoccupazioni riguardanti la produzione mondiale di Gnl - le previsioni sull’inflazione in Eurozona non possono che peggiorare. La Bce si troverebbe obbligata ad aumentare ancora i tassi. Ma con la certezza di frenare ancora di più la crescita. L’euro potrebbe risentire della debolezza nelle previsioni economiche Ue. Il declino della moneta unica svela, quindi, il difficile momento europeo, soprattutto se confrontato con gli Usa.

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