Caso Yara, chi è la pm Letizia Ruggeri e perché è indagata?

Ilena D’Errico

29 Dicembre 2022 - 21:03

La pm Letizia Ruggeri si è occupata del caso di Yara Gambirasio, in merito al quale ora è indagata per la presunta distruzione delle prove che hanno incriminato Bossetti.

Caso Yara, chi è la pm Letizia Ruggeri e perché è indagata?

La pm Letizia Ruggeri, che si è occupata del caso Yara è indagata su disposizione del gip di Venezia, Alberto Scaramuzza, per frode processuale o depistaggio. In particolare, l’indagine riguarda la conservazione dei reperti che nell’inchiesta del caso Yara hanno portato alla condanna di Massimo Bossetti.

Letizia Ruggeri, indagata per la distruzione dei campioni di Dna

L’inchiesta per frode processuale è stata aperta quindi dopo 12 anni dalla morte di Yara e dopo 4 anni dalla condanna all’ergastolo di Massimo Bossetti, incriminato per l’omicidio della ragazza. In merito, il procuratore di Bergamo si è detto piuttosto sorpreso per l’iscrizione della collega nella lista degli indagati, anche se fiducioso nella correttezza professionale della pm.

Il tribunale di Venezia, competente sui magistrati di Bergamo, si è pronunciato infatti sulla questione delle provette contenenti le tracce biologiche della vittima e dell’assassino. Le provette, in particolare 54, sono state trasferite dal frigorifero dell’ospedale San Raffaele di Milano all’ufficio Corpi di reato di Bergamo, in un viaggio di 12 giorni. Proprio questo punto rappresenta un elemento centrale nella difesa di Bossetti. I difensori sostengono infatti che l’interruzione della catena del freddo, in quanto i campioni erano conservati a -80°, potrebbe aver deteriorato il Dna, rendendo impossibile l’effettuazione di nuove analisi.

Su questo punto, l’avvocato Claudio Salvagni, co-difensore di Bossetti insieme a Paolo Camporini, ha ribadito che l’eventuale distruzione volontaria dei reperti rappresenterebbe un fatto gravissimo. Comunque, la pm Ruggeri non era inizialmente coinvolta direttamente nel procedimento di Venezia. Nella lista degli indagati figuravano invece Giovanni Petillo e Laura Epis, rispettivamente il presidente e una cancelliera della corte d’Assise. In ogni caso le loro posizioni sono state archiviate e proprio contro questo provvedimento la difesa ha portato un atto di ben 70 pagine, contenente appunto tutte le informazioni circa gli spostamenti delle provette.

In particolare:

  • Il 27 novembre 2019 la difesa ha ottenuto l’accesso ai campioni di Dna, tuttavia senza essere a conoscenza che la pm Ruggeri ne avesse già chiesto il trasferimento.
  • Il 21 novembre 2019 le provette vengono tolte dal frigo a Milano e consegnate ai Carabinieri.
  • Il 2 dicembre 2019 le provette con i campioni di Dna raggiungono il tribunale di Bergamo.

La valutazione del gip ha ritenuto fondamentale la trasmissione di questi atti alla procura, al fine di approfondire la posizione della pm nella vicenda e consentirle, allo stesso tempo, di difendersi in modo adeguato. Una decisione assurda secondo il procuratore Chiappani, in quanto i giudici avevano più volte respinto la richiesta della difesa di analizzare i campioni residui e di verificarne lo stato di conservazione. Secondo il procuratore, le 54 provette sono state conservate nel completo rispetto della procedura, in quanto la crio-conservazione è durata oltre un anno dopo il passaggio in giudicato della sentenza di condanna. La sentenza che ha condannato definitivamente Bossetti, infatti, risale a ottobre 2018, pertanto il trasferimento dovrebbe rispondere positivamente alle regole del Codice di procedura.

Un altro punto a sfavore della difesa, nell’opinione di Chiappani, è rappresentato dalle precedenti accuse di illegalità mosse ai professionisti della corte d’Assise, che si sono concluse con l’archiviazione. Gli avvocati di Bossetti ritengono che il trattamento dei reperti non abbia invece rispettato le procedure corrette, a prescindere dagli anni delle sentenze citate dal procuratore.

In particolare, ricorda l’avvocato Salvagni, la distruzione dei reperti può avvenire esclusivamente se disposta in modo specifico dalla sentenza o dal giudice dell’esecuzione, e non è sufficiente per legge la richiesta in tal proposito del pubblico ministero. L’autorizzazione alla confisca dei reperti, citata anche dal procuratore di Bergamo in effetti esiste, ma risale al 15 gennaio 2020. Lo spostamento delle provette, invece, è precedente. In ogni caso, la difesa era stata inizialmente autorizzata alla visione dei reperti, e impossibilitata dal trasferimento.

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