Fed, alzare i tassi di interesse non è possibile: ecco perché - Paul Volcker

Matteo Bienna

27/10/2016

L’ex governatore della Fed si esprime in maniera chiara sul perché la Fed non potrà alzare i tassi di interesse, neanche a dicembre. Capiamone i motivi.

Fed, alzare i tassi di interesse non è possibile: ecco perché - Paul Volcker

Paul Volcker, in un articolo a quattro mani con Peter Peterson sul New York Times, si è espresso senza troppi giri di parole sull’annosa questione dei tassi di interesse USA.

Il celebre economista nonché governatore della Fed dal 1979 al 1987 è da anni una delle voci di maggiore peso dello scenario economico americano, visti i meriti e la stima che ha raccolto durante il suo mandato alla Fed e anche negli ultimi anni all’Economic Recovery Advisory Board.

L’efficacia delle politiche di Quantitative Easing costituisce ancora un acceso argomento di discussione, sebbene negli Stati Uniti si caldeggia ormai da mesi l’ipotesi di rialzare i tassi di interesse.

La ripresa del mercato del lavoro USA, dopo il passo falso tra primavera ed estate, unita ad un lento ma costante rialzo nel livello dei prezzi, sono da diverse riunioni del FOMC gli argomenti atti a giustificare un ormai prossimo rialzo dei tassi.

Con le elezioni presidenziali alle porte vediamo Paul Volcker cosa pensa sul futuro della Fed e capiamo per quali motivi l’intervento atteso da tutto il mercato non potrà avvenire.

Fed e il semplice problema dei tassi di interesse: il debito pubblico

Paul Volcker, insieme all’imprenditore Peter Peterson, esprime grandi perplessità su quella che è la dichiarata intenzione della Fed di rialzare i tassi di interesse nel breve termine.

L’attuale situazione vede una campagna per le presidenziali di inizio novembre nella quale nessuno dei due candidati si è espresso apertamente su quello che è il più grande problema degli Stati Uniti, soprattuto in un’ottica di lungo termine: il debito pubblico.

Con il deficit in rapida crescita e il rapporto debito/PIL arrivato a livelli che non si vedevano dall’ultimo dopoguerra, il debito americano durante l’amministrazione Obama non ha fatto altro che crescere, come osservabile dal seguente grafico:

Circa 20 mila miliardi di dollari è l’attuale ammontare del debito pubblico americano e, sebbene gli attuali candidati alla Casa Bianca abbiano parlato di riduzione della spesa pubblica e riforme fiscali, la verità è che chiunque verrà eletto dovrà fronteggiare la sfida non solo di fermare ma anche di ridurre l’ammontare del debito.

I tassi di interesse estrememante bassi hanno permesso finora l’attuazione di politiche fondate sull’aumento del debito come prima risorsa, sfruttando un vantaggio finanziario obiettivo.

Ma è proprio per questo che la Fed non può permettersi di alzare i tassi di interesse, in quanto renderebbe ingestibile il costo del debito USA, indipendentemente da possibili manovre che, difficilmente, riuscirebbero a bilanciarne i costi. Ma non solo.

Il debito pubblico americano rappresenta solo una piccola parte del totale di tutte le obbligazioni e le passività a stelle e strisce presenti nel mondo, addirittura il solo 10%.

Paul Volcker sottolinea quindi come il rialzo dei tassi di interesse rischierebbe di mettere in enorme sofferenza le casse degli Stati Uniti, visto l’andamento crescente del debito e il suo incredibile peso.

Il rischio al quale può condurre questa situazione è quello della stagflazione, come negli anni ’70, ma le soluzioni?

Fed, tassi di interesse e debito pubblico: quali possibili soluzioni?

L’ex-governatore della Federal Reserve offre delle possibili soluzioni, sebbene i rischi rimangano grandi.

Una drastica riduzione dei costi nel settore della sanità e un aumento dell’efficienza del sistema di tassazione federale sono un inizio, vista l’enormità di risorse che possono liberare, insieme anche al settore della sicurezza sociale.

Il problema di interventi di questo tipo, sicuramente funzionali allo scopo, è che impiegano anni a dare i loro frutti e, se non attuati nell’immediato, rischiano solo di rendere più sofferenti e difficoltosi eventuali interventi effettuati con ritardo.

Sia la Clinton che Trump, sottolinea infine Volcker, hanno perso l’opportunità di offrire una visione chiara e rivolta al lungo termine riguardo le politiche fiscali (e non) che hanno intenzione di proporre.

Un segnale che sarebbe stato utile a frenare l’allarmismo che l’attuale scenario porta con sè.

Fonte: zerohedge.com

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